Il colore della luna:
Un tempo, il sole e la luna, moglie e marito, vivevano insieme d'amore e d'accordo.
Accadde però un giorno che il sole, tornando a casa dal solito giro intorno al mondo, non trovasse la cena pronta.
La luna si era lasciata vincere dalla pigrizia e aveva sonnecchiato tutto il giorno.
"Va almeno a prendere l'acqua" le ordinò di malumore il marito.
Niente. La Luna ciondolava di qua e di là, e non si muoveva.
Brontolando, il Sole riempì un paiolo d'acqua e, acceso il fuoco, si dispose a cuocere la polenta.
La Luna stava a guardare.
A cottura ultimata, il Sole rovesciò sul tagliere il fumante cibo e si dispose a cenare.
Non si era ancora seduto che la Luna si precipitò sulla polenta e se ne tagliò un'enorme fetta.
A quella vita, il Sole perdette quel poco di pazienza che ancora gli era rimasto;
"Ah, Infame pigraccia, Per mangiare sei lesta, ma quanto a sfacchinare in cucina, è toccato a me". E afferrato il tagliere, con la polenta sopra, lo scagliò alla Luna che, dolorante e vergognosa corse a nascondersi.
Da allora Sole e Luna non si sono più riappacificati, non sono più usciti insieme per le vie del cielo e la Luna attende per mostrarsi che il marito si sia ritirato.
Così noi la vediamo sola, nel cielo, ancora tutta gialla di polenta.
All'inizio dei tempi, gli dei Gucumatz e Huracàn crearono il mondo.
Poi, con la forza della loro parola creatrice lo riempirono di uccelli, pesci e mammiferi, nella speranza che queste creature cantassero le loro lodi.
Ma gli animali emettevano solo suoni sgraziati e schiamazzi senza senso.
Allora gli dei inorriditi dissero: " Creeremo altri esseri, che siano ubbidienti. Voi accettate il vostro destino: le vostre carni verranno sminuzzate"
(si spiega così anche l'origine della caccia).
Gli dei tentarono di dar vita agli uomini, perchè li venerassero con la preghiera e i sacrifici.
Dapprima tentarono di plasmare un uomo con il fango e l'argilla, ma ne nacquero solo esseri molli e informi, con la testa ciondolante e privi di forze.
Allora li sciolsero nelle acque del mare e chiesero consiglio al dio antenato Lxpiyacoc e alla sua sposa Lxmucanè, che dissero loro "Provate con il legno: sicuramente è più resistente e adatto al vostro scopo!".
I fantocci di legno apparvero subito più solidi di quelli di fango, ma erano privi di intelligenza e di grazia, tanto che il dio Huracàn, in un impeto di rabbia, scatenò una tempesta che li distrusse tutti.
Alla fine gli dei trovarono dei chicchi di mais gialli, bianchi, neri e rossi.
Imucanè li ridusse in farina, vi aggiunse l'acqua e con la pasta modellò i primi uomini: quattro maschi e quattro femmine.
Subito essi cominciarono a lodare gli dei, che dapprima sorrisero soddisfatti.
Ma le nuove creature erano troppo intelligenti e curiose, tanto che sembravano vedere e capire più degli dei stessi.
Allora Huracàn fece scendere su di loro una nuvola densa, che gli impedì loro di vedere troppo lontano.
Così gli uomini dovettero affidarsi alle divinità per ottenere la conoscenza e comprendere i misteri della vita.
Poi, con la forza della loro parola creatrice lo riempirono di uccelli, pesci e mammiferi, nella speranza che queste creature cantassero le loro lodi.
Ma gli animali emettevano solo suoni sgraziati e schiamazzi senza senso.
Allora gli dei inorriditi dissero: " Creeremo altri esseri, che siano ubbidienti. Voi accettate il vostro destino: le vostre carni verranno sminuzzate"
(si spiega così anche l'origine della caccia).
Gli dei tentarono di dar vita agli uomini, perchè li venerassero con la preghiera e i sacrifici.
Dapprima tentarono di plasmare un uomo con il fango e l'argilla, ma ne nacquero solo esseri molli e informi, con la testa ciondolante e privi di forze.
Allora li sciolsero nelle acque del mare e chiesero consiglio al dio antenato Lxpiyacoc e alla sua sposa Lxmucanè, che dissero loro "Provate con il legno: sicuramente è più resistente e adatto al vostro scopo!".
I fantocci di legno apparvero subito più solidi di quelli di fango, ma erano privi di intelligenza e di grazia, tanto che il dio Huracàn, in un impeto di rabbia, scatenò una tempesta che li distrusse tutti.
Alla fine gli dei trovarono dei chicchi di mais gialli, bianchi, neri e rossi.
Imucanè li ridusse in farina, vi aggiunse l'acqua e con la pasta modellò i primi uomini: quattro maschi e quattro femmine.
Subito essi cominciarono a lodare gli dei, che dapprima sorrisero soddisfatti.
Ma le nuove creature erano troppo intelligenti e curiose, tanto che sembravano vedere e capire più degli dei stessi.
Allora Huracàn fece scendere su di loro una nuvola densa, che gli impedì loro di vedere troppo lontano.
Così gli uomini dovettero affidarsi alle divinità per ottenere la conoscenza e comprendere i misteri della vita.
Nonna ragno ruba il sole:
In principio c'era soltanto oscurità, e nessuno riusciva a vedere qualcosa.
Gli uomini continuavano a urtarsi l'un l'altro e a brancolare alla cieca.
Essi dissero: "Ciò che occorre a questo mondo è la luce!"
La volpe disse che conosceva certa gente dall'altro lato del mondo che aveva una grande quantità di luce, ma che era troppo avida per dividerla con gli altri.
L'Opossum disse che sarebbe stato felice di rubarne un pò.
"Io ho una coda folta" disse.
Quindi si avviò verso l'altro lato del mondo.
Là trovò il sole, prese un pochino di luce e la stivò nella sua coda.
Ma la luce era calda e bruciò tutta la pelliccia.
La gente scoprì il suo furto e si riprese la luce, e per sempre, da allora, la coda dell'Opossum fu pelata.
"Lasciatemi tentare", disse la Poiana.
"io conosco qualcosa di meglio che nascondere un po di luce rubata nella coda.
La metterò sulla testa!".
Volò dall'altro lato del mondo e tuffandosi dritta sul sole, afferrò un suo raggio.
Se lo mise sulla testa, ma quello le bruciò le piume.
La gente le acchiappò il sole e per sempre da quel momento la testa della Poiana rimase pelata.
Allora Nonna ragno disse:"Lasciatemi tentare!".
Con la creta fece innanzitutto una pentola ben spessa.
Poi filò una ragnatela sino a raggiungere per tutto il tragitto l'altro capo del mondo.
Era così piccola che nessun individuo tra quella gente notò il suo arrivo.
Veloce Nonna Ragno portò agli uomini il sole e il fuoco e insegnò anche al nostro popolo l'arte di costruire le ceramiche.
Dalla voragine immane nasce il mondo:
All'inizio dei tempi non c'era nulla: non sabbia, non mare, né fresche onde; non esisteva la terra e neppure la volta del cielo e l'erba non crescva in nessun luogo.
C'era soltanto il Ginnugagap, la voragine immane degli abissi.
A nord e a sud della voragine nacquero due mondi opposti: a settentrione nacque Niflheimr, che era la dimora del freddo, del buio e del giaccio, con al centro un pozzo gelido, da cui hanno origine molti fiumi impetuosi, detti Elivagar.
Ma dalla parte opposta, a meridione, nacque un altro mondo detto Muspell: è una regione lucente, asciutta e torrida, custodita da un gigante con una spada fiammeggiante.
Si narra che gli Elivagar, scorrendo lontano dalla loro sorgete, inondarono il Gunnigagap con le loro acque velenose, che si indurirono in superficie formando una scorza di ghiaccio.
Su questo ghiaccio cadde una pioggerella che si congelò stratificandosi in brina.
Così il baratro degli abissi era a nord avvolto nell'oscurità, bagnato dalla pioggia e battuto dai venti gelidi di Niflheimr; a sud invece era caldo e illuminato dalle scintille di Muspell.
Avvenne poi che la brina gelida si incontrò col vento caldo; essa si sciolse e cominciò a gocciolare, e da quelle gocce ebbe origine la vita.
Il primo essere fu il gigante Ymir.
Di lui si dice che mentre dormiva strillò sudore e per questo gli crebbero, sotto una mano, un uomo e una donna.
Ymir era nutrito da una mucca, Audumla, nata come lui dalle gocce di brina: dalle sue mammelle scorrevano quattro fiumi di latte.
Per sfamarsi, Audumla leccò le pietre, ne uscirono i capelli di un uomo, il secondo giorno la testa, e il terzo tutta la persona.
Costui fu il primo uomo sulla terra e si chiamò Buri, il generante.
Orfeo ed Euridice: Amore e Morte
Il poeta Orfeo aveva da poco sposato la bella ninfa Euridice, di cui era molto innamorato.
Ma un brutto giorno la sua sposa, mentre vagava per i prati, venne morsa al tallone da un serpente e morì.
Orfeo la pianse a lungo sulla terra.
Poi, disperato, osò discendere fino al regno dei morti per cercarla.
Avanzando tra i fantasmi, si presentò a Persefone e a suo marito, signore del triste regno dei defunti.
Facendo vibrare le corde della lira, così prese a dire cantando: " O dei del mondo che sta sottoterra, dove tutti veniamo a ricadere, la ragione del mio viaggio è mia moglie, a cui una vipera ha troncato la vita.
Avrei voluto poter sopportare questo dolore, ma Amore ha vinto!
Egli è un dio ben noto lassù, sulla terra, e anche voi certo avete sperimentato la sua potenza.
Per questi luoghi paurosi, per i silenzi di questo immenso regno dell'abisso, vi prego, ritessete il filo prematuramente spezzato della vita di Euridice!
Tutti quanti vi apparteniamo di diritto e dopo un breve soggiorno sopra, presto o tardi ci affrettiamo verso questa sede, che è la stessa per tutti.
Anche la mia amata sarà vostra un giorno: vi prego solo di darmela in prestito.
Ma se il destino mi nega questa grazia, piuttosto prendete anche me!".
Piangevano le anime esagui mentre Orfeo diceva queste cose e accompagnava le parole con il suono della lira.
Persefone non ebbe cuore di opporre un rifiuto a quella preghiera; e chiamò Euridice.
Era essa tra le ombre nuove, e venne avanti con passo lento, per la ferita.
Orfeo la prese per mano, e insieme ricevettero l'ordine di non volgere indietro lo sguardo finché non fossero usciti Dall'oltretomba.
Altrimenti la grazia sarebbe stata vana.
Si avviarono attraverso muti silenzi per un sentiero in salita, ripido, buoi, immerso in una fitta e fosca nebbia.
E ormai non erano lontani dalla superficie, quando, nel timore che le i scomparisse di nuovo, e desideroso di rivederla, Orfeo pieno d'amore si voltò.
E subito Euridice scivolò indietro, e tendendo le braccia, cercò invano di aggrapparsi a lui e di essere riafferrata: il povero Orfeo strinse solo l'aria sfuggente.
E già di nuovo morendo Euridice non rimproverò il marito
(e di che cosa poteva lamentarsi, se non di essere amata!)
e gli disse per l'ultima volta addio, un addio che a stento giunse alle sue orecchie.
E rifluì di nuovo nell'abisso.
Avrei voluto poter sopportare questo dolore, ma Amore ha vinto!
Egli è un dio ben noto lassù, sulla terra, e anche voi certo avete sperimentato la sua potenza.
Per questi luoghi paurosi, per i silenzi di questo immenso regno dell'abisso, vi prego, ritessete il filo prematuramente spezzato della vita di Euridice!
Tutti quanti vi apparteniamo di diritto e dopo un breve soggiorno sopra, presto o tardi ci affrettiamo verso questa sede, che è la stessa per tutti.
Anche la mia amata sarà vostra un giorno: vi prego solo di darmela in prestito.
Ma se il destino mi nega questa grazia, piuttosto prendete anche me!".
Piangevano le anime esagui mentre Orfeo diceva queste cose e accompagnava le parole con il suono della lira.
Persefone non ebbe cuore di opporre un rifiuto a quella preghiera; e chiamò Euridice.
Era essa tra le ombre nuove, e venne avanti con passo lento, per la ferita.
Orfeo la prese per mano, e insieme ricevettero l'ordine di non volgere indietro lo sguardo finché non fossero usciti Dall'oltretomba.
Altrimenti la grazia sarebbe stata vana.
Si avviarono attraverso muti silenzi per un sentiero in salita, ripido, buoi, immerso in una fitta e fosca nebbia.
E ormai non erano lontani dalla superficie, quando, nel timore che le i scomparisse di nuovo, e desideroso di rivederla, Orfeo pieno d'amore si voltò.
E subito Euridice scivolò indietro, e tendendo le braccia, cercò invano di aggrapparsi a lui e di essere riafferrata: il povero Orfeo strinse solo l'aria sfuggente.
E già di nuovo morendo Euridice non rimproverò il marito
(e di che cosa poteva lamentarsi, se non di essere amata!)
e gli disse per l'ultima volta addio, un addio che a stento giunse alle sue orecchie.
E rifluì di nuovo nell'abisso.
Deucalione e Pirra:
Dall'alto dell'Olimpo Zeus osserva gli uomini che diventano ogni giorno più violenti e più crudeli; quando gli sembra raggiunto il limite di ogni empietà, chiama a raccolta gli dei e solennemente comunica il suo piano: disperdere per sempre la stirpe degli uomini.
e già sta per scagliare un fulmine dopo l'altro per incendiare la terra quando viene assalito da un dubbio. se le fiamme arrivano fino al cielo e lo incendiano?
Meglio non scherzare col fuoco e affidare all'acqua il compito della distruzione.
Posato il fulmine, Zeus scatena i venti e raduna le nubi piovose.
Poseidone, il dio del mare, lo aiuta, ordinando ai fiumi di allagare le pianure, strappare gli alberi, trascinare nei flutti uomini e animali.
Poco dopo la terra è irriconoscibile.
Le case sono travolte dalle acque, i campi sono sommersi, i pesci guizzano tra i rami degli alberi.
Gli uccelli non sanno più dove posarsi e cadono in acqua, travolti insieme ai lupi e alle bestie di ogni tipo.
Quei pochi che, con un'imbarcazione, erano riusciti a salvarsi dalle acque, muoiono per mancanza di cibo.
Solo una piccola barca porta due esseri ancora vivi: Deucalione e Pirra.
La loro barca approda sulla cima del monte Parnaso, l'unico che le acque non hanno del tutto sommerso.
Quando Zeus li vede, conoscendo la loro bontà e devozione, vuole salvarli e ordina alle acque di ritirarsi.
Quando le acque si ritirarono, i due vedono un mondo vuoto e silenzioso.
Spaventati, corrono ad un tempio vicino pregando gli dei di non lasciarli soli sulla terra.
Come risposta sentono una voce che dice: "Gettate dietro di voi le ossa della vostra grande madre".
Pirra non capisce bene, ma Deucalione la rassicura: la madre comune di tutti è la terra e le sue ossa sono le pietre.
Allora, pur dubitando, i due cominciano a camminare e , raccolte delle pietre, le lanciano dietro di sè.
appena toccata la terra, le pietre diventano più grandi, poi prendono una forma umana, si animano e diventano esseri viventi.
Le pietre gettate da Pirra diventano altrettante donne.
Così il mondo ripopola di una stirpe nuova, dura e pronta a tutte le fatiche.
Fede<3
e già sta per scagliare un fulmine dopo l'altro per incendiare la terra quando viene assalito da un dubbio. se le fiamme arrivano fino al cielo e lo incendiano?
Meglio non scherzare col fuoco e affidare all'acqua il compito della distruzione.
Posato il fulmine, Zeus scatena i venti e raduna le nubi piovose.
Poseidone, il dio del mare, lo aiuta, ordinando ai fiumi di allagare le pianure, strappare gli alberi, trascinare nei flutti uomini e animali.
Poco dopo la terra è irriconoscibile.
Le case sono travolte dalle acque, i campi sono sommersi, i pesci guizzano tra i rami degli alberi.
Gli uccelli non sanno più dove posarsi e cadono in acqua, travolti insieme ai lupi e alle bestie di ogni tipo.
Quei pochi che, con un'imbarcazione, erano riusciti a salvarsi dalle acque, muoiono per mancanza di cibo.
Solo una piccola barca porta due esseri ancora vivi: Deucalione e Pirra.
La loro barca approda sulla cima del monte Parnaso, l'unico che le acque non hanno del tutto sommerso.
Quando Zeus li vede, conoscendo la loro bontà e devozione, vuole salvarli e ordina alle acque di ritirarsi.
Quando le acque si ritirarono, i due vedono un mondo vuoto e silenzioso.
Spaventati, corrono ad un tempio vicino pregando gli dei di non lasciarli soli sulla terra.
Come risposta sentono una voce che dice: "Gettate dietro di voi le ossa della vostra grande madre".
Pirra non capisce bene, ma Deucalione la rassicura: la madre comune di tutti è la terra e le sue ossa sono le pietre.
Allora, pur dubitando, i due cominciano a camminare e , raccolte delle pietre, le lanciano dietro di sè.
appena toccata la terra, le pietre diventano più grandi, poi prendono una forma umana, si animano e diventano esseri viventi.
Le pietre gettate da Pirra diventano altrettante donne.
Così il mondo ripopola di una stirpe nuova, dura e pronta a tutte le fatiche.
Fede<3
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